Con 4 camere moderne e di design e 1 appartamento indipendente, la Cascina di Chiara offre una modalità di soggiorno flessibile e personalizzata, per brevi o lunghi periodi, di singole camere o dell’intera struttura, consentendo di usufruire al meglio della proposta turistica della provincia: escursioni in montagna, parco avventura, visite ad antichi borghi ed eremi, passeggiate a cavallo o relax sulle spiagge dell’Adriatico, distanti solo 20 minuti in auto.
Molte le opportunità di svago disponibili nei dintorni, a cominciare dai servizi offerti dal vicino Castello di Semivicoli: il palazzo baronale del 1689 di proprietà della famiglia Masciarelli dista solo 10’ in auto e con la sua notevole dotazione di comfort e servizi – tra cui palestra, piscina, giardini e ristorante aperto a pranzo a cena – si propone di soddisfare qualsiasi tipo di esigenza gastronomica e di benessere degli ospiti della nostra Cascina. Oltre a ciò, il Castello offre un ricco calendario di eventi estivi ed autunnali: picnic in vigna e vendemmia, brunch domenicali, concerti musicali e teatro itinerante, corsi di cucina tradizionale abruzzese, yoga e aperitivi a bordo piscina. Il tutto prenotabile ad una speciale tariffa scontata, riservata ai nostri ospiti.
Gli amanti del buon vino potranno prenotare visite alla Cantina Masciarelli e degustazioni personalizzate all’interno della Cascina stessa a cura del nostro Staff, oppure esplorare autonomamente il territorio alla ricerca di piccoli produttori e ristoranti d’eccellenza.
Grazie al wi-fi a banda larga in tutte le aree, la Cascina di Chiara è anche il luogo ideale per soggiorni di lavoro o a lungo termine, offrendo una location immersa nel verde e nella tranquillità, in cui dedicarsi ad attività lavorative in smart working.
Inoltre, è sempre disponibile su prenotazione il servizio di noleggio bici elettriche, ad un costo extra di €40,00/giorno.
San Martino è una delle cittadine più antiche della provincia di Chieti, tra le poche ad aver mantenuto la sua collocazione sul sito originario di fondazione già prima dell’arrivo longobardo. In periodo preistorico di sicuro la zona era territorio di caccia per i primi ominidi, che poi riparavano in grotte nascoste ai piedi della Majella, come certificano i ritrovamenti ad esempio nella Grotta del Colle nella vicina Rapino. Nel periodo italico la zona era certamente abitata da popolazioni di origine sannitica, molto evolute per quanto riguarda la loro civiltà, come certifica anche il loro culto dei morti, complesso e ricco di arredi funebri.
Poche le notizie in periodo romano, sia per la scarsità dei ritrovamenti sia per le poche notizie nei testi latini. Tuttavia sono stati scoperti negli ultimi anni numerosi siti con presenza di ville romane e resti di vasellame. A San Martino con molta probabilità vi erano alcune ville romane di grandi dimensioni, probabilmente di discendenti della gens romana dei Pompilio, di cui il cognome sopravvive ancora in molti nuclei familiari del paese.
Nell’800 d.c. San Martino è già censita tra i castelli del teatino prima delle conquiste longobarde, nel 900 d.c. venne scelta come dimora per gli ultimi anni di vita da Aldamario da Capua, successivamente proclamato santo e che, conquistato dalla quiete del luogo e dalla natura vi edificò il suo eremo. A questo periodo risale la fondazione dell’abazia benedettina di San Martino, dalla lunga e ancora misteriosa storia e che nel 1030 è già censita in numerosi documenti. Nel 1151, Maestro Nicodemo nativo del luogo edificò qui la sua unica chiesa e scolpì il primo dei suoi meravigliosi cibori. A San Martino venne fondato uno dei primi conventi campestri francescani d’Abruzzo, nella seconda metà del XII secolo. In questo periodo il primitivo “castrum” si è già ampliato con la costruzione del borgo fortificato, caratterizzato dalla presenza di case-mura e di 3 Porte.
Nel XVI secolo viene realizzata l’ultima croce processionale della scuola di Nicola da Guardiagrele, tra le poche ancora conservate e che viene esposta ogni anno il 19 marzo.
Nel 1600 inizia l’era dei “polverieri”, mercanti contrabbandieri caratteristici di San Martino, che secondo una antica e segretissima ricetta realizzavano con il carbone di vite polvere da sparo per la vendita e la difesa.
Tra la seconda metà del XVII secolo e la fine del XVIII San Martino diventa feudo dell’importante ed antichissima famiglia de Pizzis, che riceve dal re a Barcellona il titolo di “Marchesi di San Martino” Nel 1700 la cittadina è animata dall’attività dei polverieri, che durante l’invasione francese impediscono agli invasori di entrare con la forza a San Martino, dirottandoli verso Guardiagrele. Il successivo periodo del brigantaggio risparmia la comunità martinese, protetta anche in questo casa dalla sua polvere da sparo. Con l’unità d’Italia viene aggiunto il toponimo “sulla Marrucina”, ispirato all’antica strada preromana che passa proprio sotto la collina del borgo. Nella prima metà del 1900 termina l’era dei polverieri, e con la seconda guerra mondiale l’abitato subisce danni notevolissimi, perdendo l’antico castello e buona parte della cinta di case mura. Le colline della cittadina si trovano nella tenaglia dei bombardamenti alleati e tedeschi. Oggi San Martino sulla Marrucina è un borgo di poco più di 1000 abitanti,con una agricoltura fiorente,una campagna bellissima e il panorama mozzafiato della Majella, che da secoli veglia sui martinesi, sulle loro vite e sulla loro quiete.
La figura del polveriere è tipica di San Martino sulla Marrucina e rispecchia appieno le caratteristiche di questa gente e della sua terra. Il periodo dei polverieri inizia(ma forse è addirittura precedente) nella seconda metà del 1500 e giunge a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, ovvero alla metà del 1900 quando per la prima volta in oltre un millennio la cittadina viene presa con la forza, dato che era una delle poche dell’intera provincia a restar per secoli e secoli libera da invasori. Il polveriere è una figura alquanto complessa e difficile da definire in poche righe: era un mercante scaltro, era un soldato difensivo formidabile se doveva difendere la sua cittadina e la sua gente, era un valente artigiano che sfruttava le poche risorse che aveva unendole alle proprie conoscenze. Nessuno sa con certezza come la ricetta della polvere pirica giunse a San Martino, forse portata da un monaco assegnato all’antichissima abazia che qui sorgeva. Di certo c’è che quanto vi giunse, venne subito migliorata e montenuta per secoli segreta, tramandata solo di padre in figlio e all’interno della comunità di San Martino. Allo stesso modo venivano tramandati gli utensili per la sua lavorazione: il maglio, il martellino realizzato esclusivamente in legno e che non doveva avere parti metalliche e la pila, il masso dove la polvere veniva battuta per la lavorazione. E ogni polveriere aveva la sua grotta scavata lungo il pendio di San Martino che guarda alla Majella, il più boscoso e selvaggio. La ricetta segreta era formata da zolfo, salnitro( una muffa che cresce naturalmente nelle grotte di San Martino sulla Marrucina) e carbone di vite, la pianta sacra della comunità, che dava uva per sfamarsi, vino per dissetarsi e il carbone dei tralci della potatura per realizzare la polvere da sparo. Le famiglie dei polverieri vivevano principalmente nel centro storico dato che erano per lo più povere e non avevano appezzamenti di terra da coltivare. La fame e la conoscenza della ricetta segreta le portarono a sviluppare un segreto complesso di grotte scavate nella collina della cittadina e nascosta alla vista degli estranei, insieme ad un sistema di vedette che impedivano alle truppe borboniche, ai finanziari e agli stranieri di sospettarne l’esistenza. Anche perché i peggiori nemici erano proprio le forze dell’ordine, dato che i polverieri erano dei veri e propri contrabbandieri. Piu’ volte vi furono scontri a fuoco tra le forze dell’ordine e i polverieri, con un assedio durato quasi un anno nel 1700, ma mai la cittadina fu presa e i polverieri annientati. La polvere pirica prodotta poteva così essere venduta in tutta la provincia e anche molto fuori regione, sino alla Campania, tanto si spostavano a dorso di mulo i polverieri per vendere la loro mercanzia. La polvere da sparo veniva utilizzata infatti in massima parte per scopi agricoli, per sgretolare grandi massi presenti nei fondi agricoli o per ridurre in ciocchi i grandi tronchi di albero. Il polveriere era un mercante molto risoluto e la sua forza consisteva nella merce stessa che vendeva: la polvere era il suo mezzo di sostentamento economico ma anche la sua difesa. Ecco perché quando alla fine del 1700 le truppe napoleoniche cercarono di prendere San Martino furono ricacciate da quel piccolo borgo che aveva misteriose ed ingenti scorte di polvere. Quest’ultima unita alla combattività dei sanmartinesi, aveva salvato il paese dalla razzia. Ed ecco perché i briganti che nel 1800 depredavano tutti i paesi intorno a San Martino risparmiarono sempre quest’ultimo, temendo la rappresaglia dei polverieri. Quest’ultimo era un tipico sanmartinese, come ancora oggi sono gli abitanti della cittadina: orgoglioso del suo piccolo paese, testardo, scaltro, ospitale ma tremendamente ostile se si minaccia la sua libertà. E il polveriere era legato alla sua cittadina visceralmente: era un figlio della sua terra come la vite che da sempre in questo paese cresce e prospera amata e rispettata e che insieme alla ricetta segreta della polvere pirica per secoli preservò il bene maggiore di San Martino e dei sanmartinesi: la sua libertà.